Umberto Galimberti
Il corpo
13 x 19 – 605 pag.
Feltrinelli – 2002

Che cos’è un corpo o, meglio, che cos’è il corpo?
Pubblicato per la prima volta nel 1983, uscito in numerose edizioni, aggiornato e ripubblicato nel 2002, questo saggio di U. Galimberti percorre per intero le dinamiche corporee ed il loro articolarsi nel rapporto con il mondo, con ciò che è altro da sé. Il corpo che Galimberti descrive è il corpo vero, quella originaria apertura alla vita che fa di noi bipedi umani una specie assolutamente unica rispetto al resto del mondo animale. Non una mente che comanda una carne nè un computer che muove delle leve, ma una presenza che, avendo raggiunto il controllo dello spazio e del tempo, costruisce il proprio mondo invece di adattarsi all’ambiente. Ma per costruire bisogna circoscrivere:  il gesto, la temporalità, la spazialità, l’intenzione, l’emozione, attraverso l’analisi dell’autore si mostrano carichi dei limiti loro imposti dallo sviluppo culturale, filosofico e religioso dell’occidente.
Galimberti, mettendo in luce la progressiva schiavitù a cui è stato ridotto il corpo, nelle forme della carne da redimere, dell’organismo da sanare, dell’oggetto da vestire, ne svela allo stesso tempo la primigenia ambivalenza, punto di riferimento per le culture primitive, che non conoscevano i dualismi corpo – anima, conscio – inconscio, a cui noi moderni siamo oramai assuefatti.
L’obiettivo del saggio non mira solamente alla “ liberazione del corpo ”, quanto piuttosto nel ritrovare la sua innocenza dove, per innocenza, si intende il corpo in quanto impegnato in un mondo, con il suo spazio che non è geometrico, il suo tempo che non è cronologico, dove il mondo si raccoglie in quel mondo – ambiente in cui si dispiegano le sue cose, tra quelle distanze che sono proporzionali ai suoi gesti, accompagnati da quelle parole che giungono fin dove giunge il suono della sua voce ( pag. 13 ).

Che cosa resta, di questa innocenza possibile, nell’occidente del III millennio?
Siamo ancora il nostro corpo o ci siamo ormai ridotti unicamente ad abitarlo?
Ma quale corpo?
Il filosofo a questo punto non è più in grado di rispondere perchè, confondendo l’espressione corporea ( originariamente maschile o femminile ) con il percorso esistenziale che ci permette di divenire maschi o femmine ( di per sé ambivalente ), degrada anche la corporeità a dato relativo.
Quasi si trattasse di un prodotto del pensiero, l’espressione del corpo non viene più riconosciuta nelle sue due forme, e tutto il ” filosofare ” si avvita attorno alla ” coscienza “, che invece del corpo è prodotto, non produttore.

Dunque corpo maschile e corpo femminile, per andare oltre la filosofia, dopo aver abbandonato la psicologia.

Cercare il senso della propria corporeità è forse il primo passo per essere consapevoli della propria esistenza; si può non essere d’accordo con le conclusioni a cui perviene Galimberti, ma in ogni caso questo suo lavoro è fonte di profonda riflessione nonché di amare considerazioni nel constatare quanto spesso banalizziamo l’unico modo che abbiamo per esistere, ciò che in fondo in fondo noi siamo: il nostro corpo.

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