L’uomo senza inconscio.

Massimo Recalcati

14 x 23, pag. 336 – Raffaello Cortina Editore 2010

 

Inconscio.

Esperienza non simboleggiata e quindi non ancora ricordo; rimosso, ritorna nelle manifestazioni corporee più strane, facendo inciampare la nostra coscienza nel gesto mancato, nel lapsus, nel sogno. Inconscio come linguaggio ” altro “.

Ma anche pulsione irrefrenabile al godimento, alla dissipazione di sè fino a morirne, inconscio come tendenza all’infinito che necessita di argini per poter produrre il desiderio, quella spinta a cercare ciò che è altro da sè che ci rende propriamente umani.

Esperienza, relazione, spinta.

L’inconscio è un gesto. L’inconscio è corpo.  Sono il mio corpo ma non ne sono padrone, è l’Altro che con la sua presenza mi permette di delimitarmi, di andare oltre l’angoscia data dalla consapevolezza di non essere Dio. E’ l’Altro che fa emergere il mio lato inconscio, quel desiderio che mi anima in quanto uomo. E’ l’Altro che con il suo sguardo coglie qualcosa che nessuno specchio è in grado di restituire, e mi dona il desiderio di vivere.

Nel ricordarci incessantemente che ” non siamo padroni a casa nostra “, che ” l’IO che noi siamo viene continuamente scavalcato dalle pulsioni che lo abitano “, la psicoanalisi ha contribuito in maniera decisiva all’invenzione dell’inconscio e contemporaneamente, mantenendo diviso il corpo in psiche e soma, ha gettato alle ortiche la possibilità di pervenire ad una corporeità più autentica, meno ” pensata “. Massimo Recalcati descrive efficaciemente il disagio psichico attuale, dominato dal godimento promesso dagli oggetti più che dal desiderio di incontro con l’altro, evidenziato dal tratto psicotico della società odierna, quel rifiutare ogni legge che è diventato l’unica legge, la legge del godimento immediato, illimitato. Noi desideriamo follemente di essere infiniti, ” ne siamo certi “; non riusciamo mai ad essere completamente noi stessi, cioè mortali, illogici, emotivi, complessi.

Corporei.

Maschi e femmine.

Di fronte alla corporeità la psicoanalisi sbanda? Posto innanzi alla differenza tra desiderio maschile e desiderio femminile anche l’analista tentenna: il maschio descritto dalla psicoanalisi non è il suo proprio fallo, ma ha un fallo, quasi un’appendice staccabile, un attrezzo che questo essere umano si porta appresso. La femmina descritta dalla psicoanalisi non vive la continuità della sua apertura-chiusura al mondo come manifestazione dell’essere la sua propria vulva, ma come mancanza del fallo; vive di una mancanza invece che a partire dalla propria disponibilità ad aprirsi.

Concependo la psiche come un qualcosa di distinto dal corpo e riducendo quest’ultimo a soma biologico, la psicoanalisi non si accorge che la corporeità maschile è fatta per dare, quella femminile è fatta per accogliere.

L’uomo dà: apparentemente stabile, in realtà fortemente altalenante nella sua fermezza perchè bisognoso di continue ricariche, l’uomo spinge, mette in movimento; poi deve riposare.

La donna accoglie? Apparentemente instabile, in realtà continua nella sua ciclicità, capace di abbracciare tutto fino a perdersi, la donna ha bisogno di un perno a cui avvolgersi per potersi muovere.

Recalcati non coglie questa differenza, ne vede solo le conseguenze. Il godimento maschile centrato sul controllo della propria discontinuità, una effeminizzazione che porta il maschio ad usare il proprio corpo più che a viverlo; ed il godimento femminile centrato sul possesso di oggetti, perchè la donna rifiuta di fare i conti con la propria immensità e quindi con la necessità di avere un punto fisso attorno a cui ruotare.

L’uomo staccato dal proprio desiderio è terrorizzato dal ” non farcela “.

La donna staccata dal proprio desiderio è autisticamente mai sazia, intossicata dagli oggetti.

Recalcati ( vedi anche ” Elogio dell’ inconscio ” 2007, ” Ritratti del desiderio ” 2012, ” Il complesso di Telemaco ” 2013 ), nel sottolineare la progressiva scomparsa dell’inconscio e nel cercare di tratteggiare una articolazione della cura analitica, capace di riagganciare il soggetto al proprio desiderio, omette di diversificare l’approccio al paziente in quanto maschio o femmina, mentre è proprio dall’emersione della differenza che si può dipanare la possibilità di cura della sofferenza. Comprendere il proprio desiderio, soggettivarlo, presuppone quel fare posto all’Altro da sè che, proprio perchè ” altro “, permette la scoperta di sè. Nel fare esperienza di un movimento non ancora simboleggiato, è inscritta la possibilità di riagganciare il proprio inconscio?

L’inconscio è il corpo.

 

 

 

 

 

 

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