Il corpo inconscio. II parte
Habeas corpus
Sei genealogie del corpo occidentale.
Federico Leoni
14,5 x 21, 162 pag. 2008 Bruno Mondadori editore
Il corpo è inconscio.
Osservarne solo un aspetto ( la percezione staccata dal movimento, gli stati d’animo slegati dalla coscienza, ecc. ) è stato il modo, in occidente, di cercare di spiegarne il funzionamento, ed il modello del corpo-automa controllato da un cervello-computer e dotato di una fantomatica anima-psichica è solo l’ultimo ( e parziale ) risultato di questo incessante lavoro di cesellatura.
Questa riduzione al ” misurabile ” del nostro stare al mondo viene ben descritta da F. Leoni che, prendendo a modello la nascita e lo sviluppo della psicanalisi piuttosto che quello dell’anatomia o della neurologia, porta alla luce le condizioni di possibilità che hanno permesso l’emergere del concetto scientifico di corpo così come noi oggi lo conosciamo.
” Misurare ” è la parola d’ordine, il mantra che sorregge la nostra cultura; per quanto superato dallo stesso sviluppo scientifico, l’esperimento misurato guida ancora i passi di chiunque si occupi di ricerca e, per estensione e per necessità ( dato che il nostro vivere è ormai un vivere sotto l’egida della scienza ), di tutti gli esseri umani all’inizio di questo III millennio.
Ma misurare il vivente costringe poi ad interpretarne il movimento solo come una sequenza di traiettorie geometriche, invece di una presenza che grazie alla gestualità si rapporta a ciò che è altro da sè; l’esistenza diviene una resistenza alla morte piuttosto che una apertura alla vita; la forza messa in gioco da questa necessità una esplosione di energia chimica, più che l’espressione della nostra modalità di orientamento nel mondo; e la fatica successivamente intervenuta ad ogni movimento, una autointossicazione dei tessuti invece che l’inevitabile risultato dell’attrito opposto dall’ambiente ai nostri tentativi di modificarlo.
La scienza circoscrive, isola, scarta quel che non è misurabile, non può fare altrimenti; ma che cosa viene scartato?
Il corpo.
Il corpo che cerca la relazione.
Il nostro cercarci in quanto umani, in quanto corpi, che abbisognano uno dell’altro non perchè in sè insufficienti, ma perchè la relazione stessa che si instaura tra questi corpi diviene il fulcro del loro vivere.
Sottomesse alla filosofia le scienze, sopratutto quella medica, non hanno mai smesso di considerare il corpo come qualcosa di deteriorabile, contenitore deprecabile di un’anima destinata a ben altra sorte del finire un giorno sotto due metri di terra. Costretto ad utilizzare la tecnica per sopperire a quelle che è stato abituato a considerare carenze organiche, l’essere umano vive in una specie di esilio senza comprendere che non di mancanze si tratta, ma di eccesso di possibilità.
La biologia, l’antropologia e la fenomenologia ( cfr. le recensioni precedenti ) mostrano a sufficienza come il nostro essere nudi, eretti e con le mani libere, la nostra plasticità sinestesica, l’essere esposti completamente al mondo ci renda ” eccessivi ” più che manchevoli, per questo costretti a circoscrivere continuamente i nostri gradi di libertà.
Non manchiamo di qualcosa, abbiamo troppo.
” Siamo ” troppo.
Troppo, ma non così tanto da essere divini; nel solco scavato tra il ” troppo e il ” non abbastanza “, tra l’ebbrezza per la raggiunta stazione eretta e la parola non abbastanza forte da raggiungere Dio sta il corpo, il nostro corpo.
” Siamo troppo ” fin dalla nascita, quando il neonato è fuso alla madre ed è necessario l’intervento del padre perchè si instauri una corretta relazione tra i tre ed il mondo, tra il ” troppo ” della simbiosi gravidica e il ” non abbastanza ” che ogni lacerazione comporta. Nella relazione tra due corpi si cela il cammino che ogni uomo e ogni donna devono percorrere per divenire esseri umani.
– Ma un corpo in relazione può essere solo incontrato, non misurato: la misura ferma il movimento, scompare lo scambio relazionale che finisce nell’ombra, cioè ancora nel corpo, che nei miei pazienti sempre più spesso si manifesta come tensione inespressa, dolore difficilmente inquadrabile, sofferenza non proporzionale al danno patito. La misura esprime una possibilità del vivente, non la vita in sè, tanto che la prognosi medica diviene sempre più precisa a mano a mano che il soggetto si avvicina alla morte, sempre più vaga tanto più se ne allontana.
– Un corpo in relazione può essere accolto, non pensato: la filosofia tuttora considera l’uomo come essere del linguaggio, invece che come presenza corporea che cerca l’Altro da sè e che, dopo la serie di esoneri che hanno permesso alla specie umana di andare in piedi e di entrare in contatto manuale col mondo fino a nominarlo con la parola, si trova ora a fare i conti con un esonero inedito, quello generato dalla rivoluzione informatica in atto, che già lascia intravvedere all’orizzonte la scomparsa della nostra specie come una delle evenienze possibili, e neanche la più remota, stante la velocità con la quale evolve la robotica. Viene da chiedersi, ad esempio, se le relazioni che quotidianamente allacciamo tra di noi grazie a tablet, Pc e quant’altro siano ancora relazioni tra ” di noi “, tra noi e le macchine o solo tra le macchine. Mancando il contatto corporeo, carnale, si può ancora parlare di relazione mentre si scarica una mail? L’utilizzo dei sistemi informatici ci atomizzerà definitivamente o ci spingerà a cercarci ancor di più?
Incontrarsi. La relazione può essere solo vissuta.
Misurarla, come fa la scienza; o parlarne, come fa la filosofia, vuol dire mancare il bersaglio, perchè ogni umano diviene sè stesso in misura di quanta esperienza di finitezza – la propria finitezza – sperimenta nel contatto con l’altro.
Da questo punto di vista l’atto riabilitativo può essere considerato un ponte tra la misura e l’incontro: applicare una tecnica manuale o proporre un quesito motorio da risolvere attraverso l’esercizio terapeutico soddisfa entrambi i versanti del conoscere, perchè presuppone l’accoglimento da parte del terapista della risposta corporea messa in atto dal soggetto interessato, contemporaneamente alla sua valutazione.
Incontrare, proporre un compito, accogliere il risultato del tentativo attuato, sorreggere il soggetto nel suo percorso di recupero.
Relazionarsi.
Federico Leoni non ne parla, ma l’ambito riabilitativo è forse l’unico spazio dove attualmente è possibile, da parte di entrambi gli attori in gioco ( chi misura e chi viene misurato ), agire le proprie emozioni incontrandosi, lasciando così spazio all’emersione di ciò che per antonomasia non si lascia misurare: l’inconscio.
… Continua …