E’ più forte di me.

Il concetto di ripetizione in psicoanalisi.

Franco Lolli

21 X 14, 130 pag. – poiesis editore 2012

 

Il padre.

Libertà Dono

Claudio Risè

19 x 13, 190 pag. – edizioni Ares 2013

 

Mi parla con tono basso, lo sguardo spento, il corpo fermo.

“ Non è cambiato niente, ho male come prima .. “ ; ha fatto gli esercizi a casa ( chiedo )?.. no “.

Si ricorda di quello che era successo la settimana scorsa? Eseguendo gli esercizi, qui con me, il dolore era scomparso…

.. non so ..“.

 

E’ seduto di fronte a me, rigido, struttura atletica.

“ Senta un po’, il dolore qui al ginocchio, dopo il suo trattamento era sparito, ma da alcuni giorni è ritornato … “.

Che cosa ha fatto in questi giorni?ma niente, le solite cose … “

Cioè è andato in bicicletta anche se le avevo detto di aspettare?

“ … come faccio a non andarci? Ci vado da sempre! ..

E quanti Km ha percorso?

.. sono partito alle 7.00 e sono ritornato a casa alle 11.00 perchè il ginocchio mi doleva .. “.

Quindi quanti Km?    .. ma, non so, una ottantina .. “

Forse il suo ginocchio le sta dicendo che sta esagerando …

Silenzio.

Poi: “ non vorrà mica che mi fermo! “    … E se provasse a fare delle pause?

Sta scherzando! “

 

Questi due dialoghi sintetizzano quello che spesso è il rapporto che si instaura tra terapista e p/e non appena le esigenze del trattamento in corso presuppongano una modifica della quotidianità del soggetto, anche quando, anzi, sopratutto quando le attività motorie praticate o non praticate siano direttamente responsabili del disagio patito.

Il p/e appare legato a filo doppio a ciò che gli causa il disagio, e non vuole assolutamente modificare il modo in cui vive.

Il mondo che nel tempo egli è riuscito a circoscrivere gli appare l’unico mondo possibile; cambiarlo fa presagire più sofferenza del dolore, magari anche intenso, che in quel dato momento lo attanaglia.

La “ resistenza al cambiamento “ risulta essere uno dei problemi più rilevanti che si frappongono all’intervento terapeutico: il soggetto non vuole modificare quell’atteggiamento, attività o prassi dolorosi responsabili del motivo per il quale egli si rivolge al professionista; anzi, ciò che desidera in realtà è la “ magia “, l’atto sapiente del terapeuta capace di permettergli di continuare a vivere

“ come prima “.

Celata dietro alla resistenza al cambiamento sta la nostra illusione di crederci immortali; la ripetizione di quello che ci fa star male“ è “ in sé ( in quanto capacità unicamente umana di poter scegliere di ripetere ) il modo pratico per illuderci di dominare il tempo e lo spazio. Franco Lolli  e Claudio Risè descrivono efficacemente la natura controversa delle nostre pulsioni che, se in prima battuta miraro al raggiungimento del piacere, in realtà in maniera molto più determinata ricercano il ritorno a un mitico “prima “, al tempo non ancora condizionato dall’intervento delimitativo dell’Altro da sè. Di chi con la sua presenza ha circoscritto la nostra permettendoci di divenire esseri umani, ma al prezzo di perdere una parte di noi stessi, quella non riconosciuta, quella che ci ostineremo a ricercare per tutta l’esistenza.

Come tensione verso il ritorno ad un presunto stato di godimento totalizzante questa ricerca ” ci possiede “, diviene la traccia nascosta di ogni nostro movimento; e quando il nostro agire viene disturbato da una patologia, il bisogno che ci spinge dal terapeuta è quello di poter ritornare alla sensazione rassicurante della nostra tensione, più che a mettere in discussione il nostro comportamento. Vero e proprio perno attorno a cui l’individuo gira, lo stato tensivo divide il soggetto dal resto del mondo: il corpo umano – dice Lolli – è, per precisare ancora meglio il suo statuto, fuori dalla logica del principio del piacere, che è il principio del biologico, e pertanto non sintonizzato in maniera predeterminata sulla ricerca del minimo livello di tensione ( come il resto del mondo vivente ). Il suo snaturamento, viceversa, lo rende incline a fare della spiacevole sensazione di costante eccitazione una meta libidica insostituibile ( pag. 89 ).

Ma di quale snaturamento stiamo parlando? Perchè il corpo umano è diverso da quello degli altri animali? ” Perchè è un corpo linguistico “, afferma la psicanalisi, ” tagliato fuori dalle reazioni istintuali dalla presenza del linguaggio “. Eppure, lo abbiamo visto, il linguaggio non basta. Prima di essere linguaggio, l’essere umano è bipede, eretto e con le mani libere; sinestetico, plastico, iperneotenico. E’ da questo sfondo mai abbastanza considerato che emerge il linguaggio, impossibile per gli altri esseri viventi perchè mancano della bipedia, sono ricoperti di peli, non hanno mani, sono specializzati.

L’essere umano è unico perchè è il suo corpo, la primigenia vertigine dello stare eretti abbisogna di una immediata stabilizzazione, pena il cadere; la mano deve indirizzare il suo agire, altrimenti non afferra nulla; l’estrema esposizione agli stimoli esterni della nostra pelle deve essere circoscritta, altrimenti l’eccesso di segnali genererebbe solo confusione. E’ la delimitazione il tratto caratteristico del gesto umano. Ma un ricordo della ancestrale vertigine permane in noi, che desideriamo l’infinito e soffriamo credendo di non poterlo raggiungere. Ci tratteniamo ” dentro ” al ricordo, viviamo a partire dal piacere generato dall’iniziale euforia corporea della esplosione della vita che ci ha messo al mondo, apparentemente limitata dall’intervento ” dell’Altro da sè ” della psicanalisi ( del padre biologico  e del – Padre – archetipico di cui parla Risè nel suo splendido libro ), che ci permette in realtà di circoscrivere il corpo e di iniziare a desiderare. Ma noi non vogliamo essere delimitati, perchè ci crediamo dei.

Per questo, la corporeità faticosamente conquistata nel corso degli anni viene difesa ad ogni costo; dal terapeuta ci aspettiamo il ripristino dello stato precedente, non l’indicazione per vivere al meglio così come siamo.

Tensione insopprimibile, godimento della propria capacità di reiterare un gesto anche a costo della sofferenza, indifferenza alle indicazioni di chi dovrebbe aiutarci: prima ancora di divenire disagio psichico di pertinenza psicanalitica, il rifiuto più o meno manifesto delle indicazioni del fisioterapista quando si tratti di modificare il proprio muoversi è fenomeno fin troppo frequente in ambiente riabilitativo per continuare a non tenerne conto. Se l’atto riabilitativo è prima di tutto relazione, allora l’intervento riabilitativo si configura come una possibilità fondamentale di riordino della corporeità, il contatto con il fisioterapista un momento di svolta, bivio tra il continuare a muoversi come prima o l’apertura verso altri percorsi di vita.

 

 

 

 

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