L’uno per uno

elementi di diagnosi differenziale in psicoanalisi.

Franco Lolli

21X14, 205 pag. – poiesis editore 2015

 

” .. la domanda di cura è sempre più assente, evanescente, inespressa, nel senso che a essa si è sostituita una forma inquietante di semplice presentazione del proprio corpo nella stanza d’analisi. Le persone che l’analista riceve arrivano senza alcuna domanda, stordite dalla potenza del loro sintomo ( che, tuttavia, assicura alla loro economia di godimento un equilibrio, problematico ma tutto sommato stabile ), imploranti nel richiedere una soluzione immediata a un problema che non percepiscono come tale ( soluzione che sanno, peraltro, essere disponibile nella forma dello psicofarmaco ). Ci troviamo sempre più frequentemente di fronte ad una presenza muta, affetta da un sintomo che non fa questione – se non agli altri. Non solo non c’è assunzione di responsabilità nei confronti della sofferenza; ma non c’è, nemmeno, assunzione della sofferenza, il volerne far qualcosa ” ( pag. 2 7 ).

Che cosa vuole il paziente del III millennio?

Vuole l’eliminazione del problema. Velocemente. Non desidera interrogarsi sul senso del suo dolore; l’intoppo al procedere della sua esistenza va eliminato, per poter continuare ” come prima “.

E’ ancora possibile aiutare il paziente a trasformarsi in viandante, in colui che ha mutato il suo bisogno di guarire in desiderio di conoscere la propria corporeità ( l’analista direbbe: ” il reale di cui è impastato il suo inconscio ” )?

Ha ancora pertinenza chiedersi quali siano le strutture psichiche che caratterizzano lo stile personale di quel paziente? In che modo egli si relaziona al mondo? Come ha agito la delimitazione da parte dell’Altro della sua sensazione di onnipotenza neonatale?

In questo saggio, Franco Lolli illustra efficacemente il modello di valutazione del soggetto con sofferenza psichica, soffermandosi ripetutamente sulle modalità di sviluppo della relazione Altro-madre-bambino-padre che, secondo la psicoanalisi, struttura progressivamente il vivere umano.

I tre principali meccanismi di difesa ( la sofferenza del nevrotico che ” patisce “; il ripudio del perverso che ” rifiuta “; il ” mancato accesso ” dello psicotico ) vengono presentati nel loro articolarsi nei confronti della Legge ( cioè del progressivo circoscrivere il gesto umano ), permettendo una efficace comprensione degli odierni fenomeni di sofferenza relazionale. 

Ma che cosa si relaziona?

Il corpo.

La psicoanalisi ha fatto della trasformazione del gesto inconsulto in parola comprensibile la chiave del suo intervento terapeutico: riannodare la catena dei significanti linguistici è il compito del paziente, che trova nell’analista il necessario compagno di viaggio. Ma nel sottolineare la preminenza del linguaggio, si è dimenticata che esso è gesto cosciente che rimanda comunque ad una corporeità ulteriore, quella che emerge nel piacere  e nel dolore.

Per questo il bambino appena nato grida: il suo modo di presentarsi al mondo avviene non  a causa della sua

posizione di oggetto, di assoluta sottomissione all’altro, di totale impotenza, di inermità, esposto a quella che lo stesso Freud qualifica Not des Lebens, l’urgenza del vivere; un essere assediato dalla pressione esercitata dal corpo-organismo  e dalle sue esigenze vitali, da un’urgenza biologica che reclama una soddisfazione impossibile da procurarsi autonomamente ” ( pag. 42 ), ma in funzione della capacità di circoscrivere i suoi atti, dei quali il grido rappresenta il primo tentativo, attraverso la messa sotto controllo della capacità fonatoria.

Ed è a questo primo manifestarsi della presenza che l’Altro risponde, ritagliando per il bambino alcuni gesti piuttosto che altri, affinando ( o meno ) certi comportamenti a scapito di altri, che verranno perduti. Per questo ” la realtà è per gli umani il prodotto del processo di simbolizzazione del reale, il risultato del ritaglio progressivo di pezzi del reale e della loro significantizzazione da parte del linguaggio. La realtà – o meglio, l’instaurazione del senso di realtà – presuppone pertanto, l’intervento del simbolico sul reale. ” ( pag. 98 ).

Quando poi la malattia scompagina il corpo, riemerge l’incapacità di circoscrivere adeguatamente il gesto; il soggetto si ferma.

Di nuovo, è la presenza dell’Altro, dell’analista, che può permettere al p/e di relazionarsi ancora con il mondo.

Su un altro registro, quello riabilitativo, la trasformazione riguarda l’intuizione di sè, quel sentimento di felice fragilità che si manifesta nei miei pazienti, quando grazie al gesto terapeutico maturano un nuovo modo di muoversi, di instaurare nuovamente una relazione corporea.

Quando l’inconscio di cui sono impastati, cioè il loro corpo, riesce nuovamente a vivere la tensione verso l’Altro senza esserne sopraffatto.

Quando avviene il miracolo dell’assunzione della propria corporeità.

E la donna diviene ciò che è, colei che accoglie(?), e l’uomo diviene ciò che è, colui che dà.

 

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